
Da quando ho imparato che la rabbia può essere una risorsa ho capito che non per forza è un limite… La rabbia è un’emozione: in sé non è né buona né cattiva. Anche se può provocare disagio, non ha niente di intrinsecamente indesiderabile. È carica di informazioni ed energia.
La competenza emotiva è data dalla capacità di stare con tutte le emozioni, non solo con quelle piacevoli, e se la rabbia non è piacevole è perché noi reagiamo con ostilità ad essa.
Anche se si tratta di un’emozione che esige comunicazione e dialogo, e che trae forza dalla collettività, troppo spesso la rabbia invece isola.
La rabbia, la consapevolezza, l’ascolto e la strategia sono tutte componenti fondamentali dei movimenti di attivismo.
Gli esperti concordano sul fatto che essere padroni della propria rabbia, ovvero sapere cos’è e chiamarla con il proprio nome, rafforza le relazioni e l’intimità.
Denominare le emozioni, scriverle e parlarne (il cosiddetto etichettamento) non è come sfogarsi lanciando piatti… Denominare, scrivere e parlare sono azioni benefiche perché interferiscono concretamente con i meccanismi neurali che causano la rabbia e l’ansia. (una sorta di mindfulness della rabbia insomma!)
L’autrice Judy Foreman nel suo esauriente testo: Un paese che soffre (versione inglese: a nation in pain), cita un esempio particolare: in quasi tutti i paesi le donne sono tre volte più soggette degli uomini alla sindrome del colon irritabile, un dato che parrebbe indicare una propensione biologica derivante anche dalla rabbia trattenuta troppo a lungo e troppo spesso.
I nostri sentimenti sono la nostra via più autentica per la conoscenza.
La rabbia è un’emozione primordiale e può diventare “positiva” quando ci aiuta a reagire e a uscire dai guai. È l’emozione che nell’evoluzione ha aiutato i nostri antenati a difendere se stessi e la prole dalle minacce dell’ambiente e che, a differenza della paura, li spingeva all’attacco e non alla fuga.
A seconda dei paesi e delle religioni esistono diversi profili della rabbia (o collera o ira), con schemi di comportamento e dinamiche differenti. Nel mondo occidentale, ad esempio, la rabbia femminile è stata ampiamente associata alla pazzia… Alle bambine non si insegna tanto a riconoscere o gestire la rabbia quanto a temerla, ignorarla e nasconderla.
Se gli uomini si arrabbiano assumono una posizione di potere, se le donne si arrabbiamo cadono nella sfera dell’Impotenza…
La rabbia ha una pessima reputazione, eppure è una delle emozioni più cariche di speranza e proiezioni al futuro. Dire “Sono arrabbiata” è il primo passo per dire “Ascoltami”, “Credimi”, “Fidati di me”, perché se non ci arrabbiamo, non ci interessa quello che ci sta capitando, e non è forse peggio?!
La rabbia è un’espressione di speranza.
Come le persone felici, anche quelle inclini alla rabbia sono più ottimiste, convinte che il cambiamento sia possibile e che sia in loro potere influenzarne gli esiti.
Se a una persona non interessa capire perché siete arrabbiate o perché la rabbia è l’approccio che avete scelto per un determinato problema o evento, allora quasi sicuramente quella persona è parte del problema.
La rabbia è spesso confusa con l’aggressività, tuttavia è bene specificare che provare rabbia non vuol dire essere aggressivi, possiamo provare ira senza essere aggressivi. Viceversa alcune persone sono aggressive senza provare collera.
Una società che non rispetta la rabbia delle donne è una società che non rispetta le donne, né come esseri umani né come pensatrici. Nelle donne assertività, aggressività e rabbia sono spesso considerate un tutt’uno. Invece la rabbia è un’emozione, mentre assertività (che va tanto di moda ma è una moda che mi piace) e aggressività sono comportamenti.
L’assertività non è altro che l’espressione di un parere con atteggiamento sicuro. È una forma di comunicazione diretta, chiara e schietta conosciuta per la sua efficacia nel reagire ai fattori di stress quotidiani. Le donne assertive hanno una maggior resilienza emotiva e sono a minor rischio di ansia e depressione.
È assodato che l’incapacità di articolare l’ira è una componente significativa sia della depressione (definita “scatto d’ira silenzioso”) sia dell’ansia. Il silenzio auto-imposto, da solo, è ritenuto uno degli aspetti centrali della depressione. Detto ciò: chissà come mai l’autolesionismo è molto più diffuso tra il genere femminile…
Purtroppo al giorno d’oggi c’è una profonda resistenza culturale a prendere sul serio i timori delle donne riguardo alla violenza maschile. In realtà i rischi abbondano. Noi donne siamo esperte in materia. Siamo anche esperte nel mettere da parte l’orgoglio, nascondere l’umiliazione, ridimensionare le ambizioni e calibrare il risentimento.
E allora, come va gestita la collera? Dipende. Lo psicologo James Averill dell’Università del Massachusetts ne ha individuati tre tipi. La prima è la rabbia “malevola” che esprime disprezzo o desiderio di vendetta, la seconda è di “sfogo”, scarica una tensione, spesso su chi non ha colpa.
C’è poi una rabbia “costruttiva”, quella che fa valere le proprie ragioni, comunica coinvolgimento e rafforza le relazioni (per esempio, se è rivolta a un amico gli fa capire che è importante per noi).
C’è creatività nell’ira. Il 15 settembre 1963 alcuni membri del Ku Klux Klan misero una bomba nella chiesa battista della Sedicesima Strada di Birmingham, in Alabama, frequentata soprattutto da afroamericani, uccidendo quattro ragazze. La cantante Nina Simone fu travolta dallo shock e dalla collera e per sfogarsi scrisse “Mississippi Goddam”, una delle più toccanti e potenti canzoni di protesta del ventesimo secolo.
Contrariamente alla convinzione secondo cui offuscherebbe il pensiero, la rabbia, se compresa bene, è un’emozione dalle straordinarie proprietà chiarificatrici.
Alcuni consigli per imparare a gestirla il meglio possibile sono quello di RESPIRARE, RIDERCI SU, ACCETTARE (la situazione e la rabbia stessa), RELATIVIZZARE, PARLARE CON ALTRI TONI…
La rabbia si può curare aiutando la persona a sentirsi integra, adeguata ed essenzialmente meritevole di esistere.
Fondamentale è imparare a non prendere nulla sul personale, perché quando qualcuno ci parla, parla di sé non di noi (o comunque della SUA idea di noi). Su questo argomento vi invito a leggere un libro davvero illuminante che si intitola “I 4 Accordi” di Don Miguel Ruiz, in cui vengono proposte quattro “semplici” regole per vivere meglio, tra qui appunto quella del non prendere nulla sul personale.
Giornalista e Counselor in formazione, sono una persona curiosa e amante dei viaggi nel mondo che ci circonda e in quello interiore. I miei studi umanistici e artistici mi hanno regalato la convinzione che l’arte in tutte le sue declinazioni possa essere una terapia efficace e un mezzo straordinario per la crescita personale, argomento a me caro da sempre.
Giornalista e Counselor in formazione, sono una persona curiosa e amante dei viaggi nel mondo che ci circonda e in quello interiore. I miei studi umanistici e artistici mi hanno regalato la convinzione che l’arte in tutte le sue declinazioni possa essere una terapia efficace e un mezzo straordinario per la crescita personale, argomento a me caro da sempre.