Skip to main content
tempo e vuoto counselling

Accade a molti di noi nel corso della vita di doverci fermare. A volte è uno stop imposto da condizioni esterne, a volte è una ricerca interna, un desiderio intimo, profondo. Un tempo nel tempo.

Ci sentiamo persi, viviamo piccoli disagi quotidiani che ci portano a pensare che la gente non ci veda, che non riusciamo a farci sentire, che passiamo sempre in secondo piano, facciamo “tappezzeria” per così dire.

E’ importante quindi fermarsi , dedicare tempo per ascoltarsi, prestare attenzione a come stiamo e trovare dentro di noi un tempo ben preciso : un tempo “vuoto”.

Viviamo un’ epoca in cui la parola vuoto fa paura, mette ansia … il vuoto fisico, il vuoto emotivo , il vuoto di lavoro, siamo abituati ad avere cose per riempire il vuoto, a fare cose per riempire il tempo.

Ci siamo mai chiesti cosa succederebbe se decidessimo di non riempire quel vuoto, se lasciassimo scorrere quel tempo?

E se usassimo questo tempo vuoto per ascoltarci, guardarci, sentirci, che idea fantastica sarebbe, per alcuni addirittura una rivoluzione!

Quando il counselor si siede con il cliente e lo ascolta , lo fa con la lentezza che un buon ascolto attivo richiede, dedica tutto il tempo necessario al cliente, anche quando questo non dice nulla  (ma quanto c’è in quel silenzio ), la costruzione dell’incontro richiede tempo; l’empatia chiede tempo , non è un tasto ON OFF, anzi .

Tornando all’atto rivoluzionario di mettersi in osservazione di sé, proviamo ad immaginare cosa accade:

L’imbarazzo iniziale ci fa percepire impaccio, agitazione , insicurezza, ma poi lentamente  scopriamo che quel vuoto è pieno di noi. Un serbatoio da cui non abbiamo mai attinto, un carburante che non abbiamo mai usato.

E come usare quel vuoto ? Magari come  una tela su cui dipingere o più semplicemente buttare colori alla rinfusa, anche senza senso, macchie che sicuramente poi prenderanno vita con una loro  forma.

Facciamo un passo avanti e proviamo ad uscire da noi e guardarci da fuori, anche di fronte ad uno specchio: chi vedo, come mi vedo? Ho qualcosa da dire alla persona che si riflette? se la risposta è sì …FACCIAMOLO (tra il fare e il non fare; Jodorowsky) e  parliamoci allora e a voce alta. Ascoltiamo la nostra voce, il timbro, il tono, il volume…che parole uso, mi piace quello che sento, sono gentile con me?

E dopo esserci parlati, guardiamoci, di nuovo proviamo imbarazzo è matematico ma lentamente osservo la persona che vedo e le sto sorridendo o le tengo il broncio? Proviamo a notare le piccole cose che la fretta quotidiana non ci consente di fare: i miei occhi come sono, mi fissano o guardano altrove? I miei capelli, il mio viso sono curati o trascurati e se sì, perché?

E se mi faccio una carezza cosa provo, mi piace il tocco delle mie mani, sono calde, fredde, ruvide, morbide?

Il mio rapporto personale con lo specchio ad esempio è sempre stato poco amichevole non ho mai dedicato del tempo , giusto l’occasione di vedere se ero in ordine prima di uscire.

Spesso mi sentivo dire che il mio naso aveva una piccola ombra sulla punta, come se mi fossi sporcata con dell’inchiostro, magari scrivendo o disegnando, facendomi sentire piuttosto a disagio, in disordine , appunto.  Allora ho deciso di guardarlo per bene questo naso e capire cosa avesse che non andava : ebbene il mio naso non ha nulla che non va, è semplicemente la fotocopia di quello di mio padre, la punta da un lato concava e dal’altro no. Ecco un particolare di me che prima mi creava disagio è diventato un legame ancora piu’ forte con le mie radici, un segnale di appartenenza, qualcosa che mi distingue dagli altri.

Ho imparato ad osservarmi, come dicevo e nel tempo ad accettare e accogliere il femminile che mi appartiene, il mio diventare donna.

Ma torniamo a noi, dopo esserci parlati, ascoltati, osservati e toccati scriviamo su un foglio le sensazioni provate, tutte senza alcuna distinzione , senza troppa attenzione alla forma e senza alcun giudizio e rileggiamo: riconosco in ciò che ho scritto la persona che sono oppure ho scoperto o meglio riscoperto qualcosa di me?

L’insieme di questi gesti ci fa prendere consapevolezza di noi, del nostro corpo , ci trasmette la nostra fisicità e ci rendiamo così conto che abbiamo un peso, occupiamo uno spazio ben preciso.

Io ci sono, esisto, appartengo, altro che tappezzeria.

Alla fine facciamoci un regalo e diciamoci quelle parole che troppo spesso dimentichiamo : vado bene così, mi voglio bene.

 

 

Maria Cristina Preti

Counselor della Riprogrammazione Esistenziale Mi rivolgo all’ambito personale, professionale, di gruppo e familiare laddove vi sia un disagio, un malessere o la necessità di fare chiarezza per intraprendere la via più felice per “essere fedeli al proprio compito e far arrivare al cielo la nostra statura”.

Vai alla mia pagina

 

Leggi tutti i miei articoli
×
Maria Cristina Preti

Counselor della Riprogrammazione Esistenziale Mi rivolgo all’ambito personale, professionale, di gruppo e familiare laddove vi sia un disagio, un malessere o la necessità di fare chiarezza per intraprendere la via più felice per “essere fedeli al proprio compito e far arrivare al cielo la nostra statura”.

Vai alla mia pagina

 

Leggi tutti i miei articoli
Latest Posts
  • tristezza counseling
  • un percorso di introspezione insieme al counselor
  • parole ascolto counselor

Lascia una Risposta