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vergogna festival delle emozioni spaziocounselor

“Sento nello stomaco una strana sensazione, vuoto e voragine, il volto è caldo, si infiamma e vorrebbe scomparire, le mani sudano, la saliva non è più tra i miei fluidi corporei, il cuore batte forte e sento la voglia di diventare trasparente;”

Che cosa sta accadendo?

Ogni emozione presenta dei segnali per i quali la riconosciamo e possiamo darle un nome, questi segni sono manifestazioni fisiche; il corpo è la casa dove abitano le emozioni, ogni emozione è una stanza, oggi proviamo a occuparci della Vergogna che essendo tipicamente sociale potremmo definirla il salotto della nostra mente.

Esistono emozioni primarie e secondarie: le prime sono emozioni innate e universali, cioè sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, le emozioni secondarie, invece, devono essere apprese e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale; la vergogna è una di queste.

“Fin da quando ero bambina ricordo che non mi esponevo mai, non chiedevo mai qualcosa per me, non interagivo con gli conosciuti. Ricordo di un viaggio in America, avevo otto anni, l’hostess di volo stava chiedendo ai bambini se volessero andare nella cabina di pilotaggio a vedere come fosse; ricordo chiaramente l’emozione: la gioia per l’opportunità e la tremenda vergogna di non sentirmi adeguata, non sapere cosa dire o fare in una situazione nuova e con persone che non conosci”
Nel corso del secondo anno di vita del bambino compaiono le cosiddette emozioni sociali, definite anche autocoscienti e valutative (Berti e Bombi, 2005). La vergogna compare generalmente dopo il secondo anno di vita, più tardivamente rispetto alle emozioni cosiddette di base, poiché questo stato emozionale implica necessariamente la percezione di un giudizio dell’altro, perciò il bambino deve essere arrivato ad una maturazione tale per cui possa essere in grado di effettuare una scissione tra se stesso e l’altro.
L’atteggiamento che gli adulti hanno nei confronti dei bambini è determinante nella modulazione dell’emozione di vergogna. Chiaramente la vergogna provata è maggiore laddove i bambini sono continuamente “…umiliati, disprezzati o su cui i genitori fanno pendere la minaccia di non volergli più bene…” (Berti e Bombi, op. cit., pag. 174).
“i miei genitori mi ripetevano spesso che non dovevo comportarmi in un certo modo e chiaramente mi dicevano “non si fa è vergogna”. Credo che questo sia stato un mantra di vita, non puoi essere come sei perché sei inadeguata e ti devi vergognare; così gli anni sono passati e quella chiamata non l’ho mai fatta, quel libro non l’ho mai scritto, non ho mai alzato la mano per fare quelle domande ai convegni e quella persona non l’ho mai conosciuta. Credo che la vergogna per me sia stata un evitamento alla vita”
Nel costrutto della vergogna c’è la credenza di essere una persona non degna di stima. L’essere umano, quindi, valuta se stesso in termini negativi e diviene estremamente attento ai segnali degli altri che possono convalidare questa idea.
In più studi è emerso che chi prova vergogna mostra anche livelli più alti di aggressività.
“ mi hanno detto che sono ingrassata, ho provato un’intensa rabbia e ho risposto in modo molto scontroso, non è giusto che gli altri si prendano delle confidenze non concesse! Poi dopo essere tornata a casa ho iniziato a guardarmi allo specchio in modo ripetitivo e ho sentito un forte senso di inadeguatezza, ho provato vergogna; ho capito in quel momento che quella rabbia precedente era un modo di difendermi dal sentirmi inadeguata, insomma un evitamento della vergogna.”

A volte la rabbia è secondaria alla vergogna, è cercare di evitare di sentirsi inadeguati, combattendo l’altro, ma il punto si trova dentro di noi: se tu ti sentissi adeguato, le parole dell’altro non dovrebbero toccarti.

La vergogna non è una colpa: ti vergogni quando valuti te stesso non adeguato, mentre ti senti in colpa quando credi che con il tuo comportamento “sbagliato” hai arrecato un danno all’altro. Questo è per dirimere definitivamente la confusione tra queste due emozioni, la prima è una valutazione su se stessi come auto difettosi, la seconda a partire o meno da un assunto di ‘autodifettosità’ si concentra sul dolore provato nell’aver arrecato un danno a qualcuno con i propri comportamenti.
La vergogna non è solo una brutta compagna di viaggio, a livelli non troppo elevati e pervasivi ci informa di tantissime cose e ci può guidare nel mondo e nelle relazioni in modo funzionale. Per esempio pensiamo alla manifestazione di questa emozione: spesso si diventa rossi, ma allora se quando ti vergogni vuoi solo scomparire e non essere visto, perché la sua connotazione ti rende ancora più evidente?
“ero di fretta e uscendo dall’ufficio ho urtato la scrivania di un collega, facendo cadere il suo telefono a terra e lo schermo si è frantumato!, che vergogna, mi sono sentita mortificata ed era evidente. Il collega ha notato la mia buona fede e che fossi estremamente dispiaciuta e in imbarazzo intenso e non si è arrabbiato, ha compreso!”
La vergogna servirebbe a comunicare agli altri, quando facciamo qualcosa di inadeguato o comunque di goffo, fuori dalle regole e non socialmente approvato che ne abbiamo preso coscienza e l’altro quindi sarà più predisposto a non arrabbiarsi e ad accettarci comunque nel gruppo sociale.

La vergogna è utile in una società poiché ti vergogni se ti beccano a rubare, quindi magari non lo fai!
Quando invece la vergogna è disfunzionale? Quando è un’emozione pervasiva e il senso di inadeguatezza diventa castrante “io sono una persona inadeguata quindi rinuncio a muovermi nelle cose”
La grave conseguenza della vergogna e dell’inadeguatezza è l’evitamento, l’evitamento alla vita.
“mi sono chiesta se volessi vivere o giudicarmi, ho deciso per la prima”

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